Corte di Giustizia Europea: il datore deve pagare gli occhiali ai dipendenti che lavorano al videoterminale

Possibilità di rimborso delle spese sostenute, fornitura diretta di lenti o occhiali o un premio specifico

 

Il datore di lavoro deve farsi carico del costo dei dispositivi per la vista acquistati dai dipendenti che sono addetti al videoterminale, con il rimborso delle spese sostenute o fornendo direttamente lenti o occhiali. E' quanto ha stabilitpo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, C-392/2021.

I fatti di causa

Il ricorrente, un impiegato presso l’ispettorato generale del servizio immigrazione del dipartimento di Cluj (Romania), esercita la propria attività lavorando su attrezzature munite di videoterminali.

Lo stesso affermava che il lavoro su schermo, nonché altri fattori di rischio (quali la luce visibile discontinua, l’assenza di luce naturale, il sovraccarico neuropsichico) hanno comportato un forte deterioramento della sua vista, costringendolo a cambiare occhiali, al fine di correggere la diminuzione della sua acutezza visiva.

Facendo valere che il sistema nazionale di assicurazione malattia rumeno non prevedeva il rimborso del costo degli occhiali da vista, l'impiegato ha chiesto al proprio datore di lavoro di rimborsargli tale somma. La domanda è stata respinta.

Il ricorrente ha successivamente adito il Tribunale di Cluj in Romania con un ricorso diretto a far condannare l’ispettorato generale a versargli detta somma. Il giudice ha respinto tale ricorso con la motivazione che non ricorrevano le condizioni per ottenere il rimborso richiesto, in quanto l’articolo 14 del decreto governativo n. 1028/2006 darebbe diritto non al rimborso del costo di un dispositivo speciale di correzione, ma solo alla fornitura di un siffatto dispositivo se la sua utilizzazione è considerata necessaria.

Il Ricorrente ha impugnato tale sentenza dinanzi alla Corte d’appello di Cluj chiedendone l’annullamento e il riesame nel merito della controversia. Il giudice del rinvio considerava che, per statuire sulla controversia dinanzi ad esso pendente, occorreva interpretare la nozione di “dispositivi speciali di correzione”, di cui all’articolo 9, paragrafo 3, della Direttiva 90/270 e, in tal contesto, la Corte d’appello decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali:

  1. se l’espressione “dispositivo speciale di correzione”, di cui all’articolo 9 della Direttiva 90/270 debba essere interpretata nel senso che essa non può comprendere gli occhiali da vista.
  2. se con l’espressione “dispositivo speciale di correzione”, di cui all’articolo 9 della Direttiva 90/270, debba intendersi unicamente un dispositivo utilizzato esclusivamente sul posto di lavoro e nell’adempimento delle mansioni lavorative.
  3. se l’obbligo di fornire un dispositivo speciale di correzione, previsto dall’articolo 9 della direttiva 90/270, riguardi esclusivamente l’acquisto del dispositivo da parte del datore di lavoro o se possa essere interpretato estensivamente, ossia comprendendo anche l’ipotesi che il datore di lavoro si faccia carico delle spese necessarie sostenute dal lavoratore al fine di procurarsi il dispositivo.
  4. se sia compatibile con l’articolo 9 della Direttiva 90/270 la copertura di tali spese da parte del datore di lavoro sotto forma di un aumento generale della retribuzione, corrisposto permanentemente a titolo di “aumento per condizioni di lavoro gravose”
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La Corte di Giustizia, rispondendo alla prima e alla seconda questione, dichiara che l’articolo 9, paragrafo 3, della Direttiva 90/270 deve essere interpretato nel senso che i “dispositivi speciali di correzione”, previsti da tale disposizione, includono gli occhiali da vista specificamente diretti a correggere e a prevenire disturbi visivi in funzione di un’attività lavorativa che si svolge su attrezzature munite di videoterminali. Peraltro, tali “dispositivi speciali di correzione” non si limitano a dispositivi utilizzati esclusivamente nell’ambito professionale.

Sulle questioni terza e quarta la Corte di Giustizia, dopo aver constatato che detta disposizione impone al datore di lavoro un obbligo diretto a garantire che i lavoratori interessati ricevano, se del caso, un dispositivo di correzione speciale, rileva che il rimborso da parte del datore di lavoro del costo di acquisto di un dispositivo di correzione speciale è conforme all’obiettivo della Direttiva 90/270 in quanto garantisce un miglior livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, senza in alcun modo comportare oneri finanziari supplementari a carico dei lavoratori. Ne consegue che l’obiettivo dell’articolo 9, paragrafi 3 e 4, della direttiva 90/270, in quanto mira a garantire che i lavoratori ricevano, senza alcun onere finanziario, dispositivi speciali di correzione in caso di necessità, può essere raggiunto vuoi direttamente, mediante fornitura di tale dispositivo dal datore di lavoro al lavoratore, vuoi indirettamente, mediante rimborso del costo di tale dispositivo da parte del datore di lavoro.

Occorre anche rilevare che l’articolo 9, paragrafo 3, della Direttiva 90/270 non osta, in linea di principio, a che il diritto nazionale preveda che la messa a disposizione dei lavoratori interessati, da parte del datore di lavoro, di dispositivi speciali di correzione, richiesta da detta disposizione, avvenga mediante un premio che consenta al lavoratore stesso di acquistare tale dispositivo. Tuttavia, occorre sottolineare che un siffatto premio deve necessariamente coprire le spese specificamente sostenute dal lavoratore per l’acquisto del dispositivo speciale di correzione.

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