Digital Economy nelle Pmi: non c’è il botto ma l’Italia cresce

Una dinamica che negli ultimi anni è mutata, per una tendenza che si è invertita e che dovrebbe restare tale anche a medio termine. Come spesso accade, i freddi numeri dicono molto, ma non tutto. Ed è importante, ad esempio, contestualizzare il responso fornito dal Desi, il Digital Economy and Society Index, indice introdotto dalla Commissione Europea nel 2014 per misurare i progressi dei Paesi europei in termini di digitalizzazione dell’economia e della società: in particolare, l’Italia è diciottesima tra i ventisette Stati membri dell’Ue, rispetto al settimo posto della Spagna, al dodicesimo della Francia e al tredicesimo della Germania.
Nelle Pmi risulta in crescita il cloud, ma non il ricorso all’intelligenza artificiale e ai big data. Come leggere tali dati?
«Il Desi - afferma il professor Marco Taisch, presidente del Made, il Competence Center Industria 4.0 del Politecnico di Milano - rappresenta una media che coinvolge diversi settori industriali e i cittadini, e fa i conti anche con le differenze geografiche del nostro Paese. Il dato positivo è che rispetto al passato l’Italia è salita di molte posizioni: era venticinquesima, ora diciottesima. Commenterei positivamente questa crescita, anche perché gli altri Paesi, nel frattempo, non sono stati fermi a livello di investimenti e formazione.
La spiegazione? Sicuramente i nativi digitali stanno entrando nel mondo del lavoro. Il Covid poi, fatta la tara con il dramma vissuto, ha rappresentato un grande alleato per la digitalizzazione in Italia. Ci ha fatto apprendere strumenti di office automation che diversamente non avremmo utilizzato. Nel momento in cui devo usare la videoconferenza per fare le riunioni - è l’esempio fornito dall’esperto - a quel punto imparo certo ad allegare i file alle mail, ma anche a salvarli nel cloud. E poi, magari, apprendo l’uso di Excel. Questa ricaduta finisce sulle imprese e sullo stesso cittadino, in quanto lavoratore, che ha imparato in azienda a usare le tecnologie e ora le utilizza in casa».
Siamo quindi di fronte a un processo di diffusione della conoscenza già visto in tutte le rivoluzioni industriali: «E inoltre - ribadisce Taisch - i nativi digitali entrando nelle imprese saranno i promotori delle adozioni di determinate tecnologie». Non c’è da stupirsi che il cloud si sia diffuso in maniera importante: «Tra le tecnologie legate all’Industria 4.0 è una delle più semplici da utilizzare e anche quella meno costosa, mi bastano davvero pochi euro al mese per disporre di terabyte di spazio su cui mettere i miei dati. Sono pacchetti che si attivano online semplicemente con una carta di credito. Le altre tecnologie più legate al mondo fabbrica chiaramente sono più complesse, ma tra il cloud e l’intelligenza artificiale ci sono in mezzo, per esempio, realtà virtuale e realtà aumentata. Il cloud ha consentito a molte aziende di poter lavorare in remoto e quindi garantire una business continuity, continuando a fatturare anche durante il Covid grazie alla possibilità di effettuare il collaudo degli impianti venduti proprio da remoto».
L’intelligenza artificiale, che è ormai giunta a una maturità tecnologica, presenta un prerequisito: «Si tratta della quantità di dati disponibili per effettuare l’apprendimento degli algoritmi, se io non ho tanti dati non posso usare quella tecnologia. La piccola impresa, che magari lavora su lotti piccoli e produzioni molto dinamiche, quella tecnologia non la userà per una questione strutturale e non certo di ignoranza, non mi stupisce quindi che l’Ia stia percorrendo una strada diversa. Senza dubbio se non connetto le macchine non raccolgo i dati (e qui entra in gioco anche il ruolo delle infrastrutture, carenti in alcune fette della nazione, ndr), ma bisogna anche capire quanti siano i dati raccolti».
In sintesi, quindi, l’emergenza Covid ha operato come acceleratore, «alla luce della presenza del Piano Nazionale Industria 4.0, che mettendo a disposizione incentivi ha aiutato la diffusione delle tecnologie. Non dimentichiamo che il Piano Nazionale è del 2017, non tantissimo tempo fa, e dobbiamo dare al sistema industriale qualche anno per assestarsi. E poi, nel 2017, investirono subito le grandi aziende che sapevano già cosa dovessero fare. Le piccole sono arrivate più tardi». Come detto in avvio, comunque, si è attivata una dinamica positiva che, secondo Taisch, «nel nostro Paese proseguirà». Con l’auspicio che la terza economia dell’Unione possa recuperare ulteriore terreno anche sul fronte della digitalizzazione.